giovedì 11 marzo 2021

In mezzo a questo inverno

Mi succede sempre più spesso, o forse da tanti anni, quando devo raccontare qualcosa mi viene in mente sempre una canzone, questa volta è toccato a Tiziano Ferro con la sua "In mezzo a questo inverno", che vi invito ad ascoltare, soprattutto le parole. 
In realtà quello che voglio raccontarvi, dopo averci pensato a lungo, è il miscuglio di emozioni che ho provato per 28 giorni, ritrovandomi a raccontare qualcosa che mai avrei pensato di vivere. Per la radio ho raccontato tante cose, dallo sport, agli scioperi, manifestazioni, concerti, campagne elettorali, spettacoli teatrali, raramente mi è capitato di commentare vicende tristi, tranne una, che mi lasciò strascichi emotivi per molto tempo...i funerali alla Caserma della Guardia di Finanza a L'Aquila, delle vittime del sisma del 2009. Quando scrivevo per il giornale mi occupavo di spettacolo, libri, televisione e gossip. In televisione faccio tante interviste e intrattenimento, insomma dovrei essere una che dopo trent'anni che fa questo lavoro ha la scorza, invece no. Perchè il primo giorno che sono salita su al campo base a Forme, dopo che la sera prima era arrivata la notizia che "quattro nostri ragazzi erano dispersi",  avevo come l'impressione di trovarmi proiettata in un'altra realtà, c'era una fibrillazione palpabile, le condizioni meteo pessime, fermento, sguardi cupi. Ho cercato di capire come potevo raccontare quella situazione e ho agito istintivamente, ho lasciato da parte il tono della cronista e ho usato il mio, come se stessi parlando ad un gruppo di persone che conoscessi, solo con parole più impersonali. Entrare nelle vite altrui è un po' il nostro lavoro, ma quando si tratta di famiglie che sai chi sono, magari conosci lo zio di uno dei ragazzi dispersi, la madre di un altro, il fratello di un altro, gli amici di un'altra, ti vengono pensieri che non puoi fermare e lo spazio che intercorre tra il cervello e la bocca quando parli, lo devi misurare bene, Così primo collegamento, secondo, terzo, quarto , quinto, sesto, poi perdi il conto e tutto quello che ti circonda lo elabori mentre racconti e te lo porti anche a casa, non lo lasci fuori dalla porta. Ho imparato  tanto, so cosa è una piastrina Recco, un georadar, dove si trova Valle Majelama, solo per dirne alcune. Quella montagna, il Monte Velino, che tutti qui abbiamo sempre guardato, ammirato, chiamato " Il Guardiano", da lì sotto mi sembrava così imponente, tanto che oggi se lo guardo mi appare molto più grande di quanto la vedessi prima. 

Ho visto molti uomini e molte donne indaffarati, stanchi, tristi, nervosi; ho visto volontari offrire un supporto, una parola, un pasto. Ho visto un paese intero accogliere famiglie e soccorritori, come amici, una comunità intera pronta a dare sostegno materiale e morale. Quello che ho visto rimarrà sempre dentro ai miei occhi e nel mio cuore. Una macchina organizzativa impressionante, che forse chi è abituato alla montagna conosce, per chi come me la montagna la guarda da lontano era tutto nuovo. Ho cercato di non essere invadente con le persone e con le domande, ho osservato molto e appreso tanto. Ho guardato da lontano il comando mobile dei Vigili del Fuoco, la laboriosità degli uomini, gli Alpini del 9° Reggimento che montavano le tende, gli elicotteri della Polizia, dei Carabinieri, gli uomini infaticabili del Soccorso Alpino parlottare, prepararsi e partire verso la montagna. Quanta speranza, quanti pensieri in quei 28 giorni, vissuti con un pensiero fisso , con tante preghiere, tante parole, moltissime emozioni. Dopo qualche giorno noi della stampa avevamo uno spazio delimitato, non potevamo più girare liberamente, quindi bisognava attingere ognuno alle proprie fonti e aspettare che qualcuno a fine giornata venisse a ragguagliarci sul lavoro fatto, le novità, le delusioni. Non farò nomi, perchè farei dei torti, ma alcuni di quegli uomini avevano la capacità di farti capire con uno sguardo come stessero le cose, quanta fatica c'era dietro a quelle parole non dette, spesso tristezza, ma non si sono mai arresi, mai, gli vedevi sempre quella fiammella mai spenta pronta a raggiungere l'obiettivo. 

Durante quei giorni mi sono estraniata dalle chiacchiere, da chi veniva dirti che conosceva l'amica della cugina del fratello, che gli aveva detto questo o quello. Avevo necessità di discernere e allontanarmi dalla futilità delle chiacchiere. Non ho mai nominato i "nostri quattro ragazzi", non ho mai pubblicato le loro foto, per una sorta di pudore, di rispetto, come una sorta di piccolo appiglio a cui aggrapparmi. L'ho fatto l'ultimo giorno, scegliendo le foto più belle, le parole migliori insieme ai loro nomi, perchè poi alla fine volevo salutarli anche io nel modo migliore. Non so come facciano i miei colleghi che si occupano di cronaca nera, che vanno in guerra, che si occupano del sociale, sono proprio bravi. Io mi sono sentita inadeguata molte volte durante quei giorni, ho fatto pace con me stessa da poco, non sono riuscita a rimanere distaccata, a fare la cronaca pura, ho raccontato i fatti ma ci ho messo le mie emozioni e nonostante mi abbiano criticata non sono affatto pentita, perchè ho seguito quello che sentivo. Ognuno deve lavorare come crede, sempre con le spalle dritte , rispettando  gli altri e alcune regole fondamentali. Il social ha avuto un ruolo importante, ho scoperto tra i miei contatti tanta umanità, poesia, sensibilità, altrove ho guardato poco perchè di cattiveria ne è girata tanta, ma quella c'è in ogni situazione e va tenuta lontana. C'è tanta generosità tra le persone e dovremmo salvaguardare tutto quello che di buono si è visto. Gian Mauro, Valeria, Gian Marco e Tonino resteranno sempre nei nostri cuori e non è un modo di dire, così come le loro famiglie, che abbraccio da lontano e con il pensiero, sperando che trovino intorno a loro tutto l'amore di cui hanno bisogno.

Le foto che vedete qui sono quelle che mi hanno emozionato di più, la prima è di Melissa D'Eramo, una ragazza che ho incontrato soltanto una volta, ma che leggo sui social e trovo che con questa foto abbia saputo esprimere un sentimento comune e lo ha fatto nel modo migliore.  La seconda è una poesia di un mio amico, Gianni Iezzi, che non ha firmato ma che ha saputo cogliere le speranze che ognuno di noi aveva dentro di sè. La terza è una foto che ho scattato io l'ultimo giorno, quello dei saluti, dei ringraziamenti, quello delle emozioni forti. Due uomini che in quell'abbraccio (eravamo tutti costantemente tamponati per il Covid) hanno rappresentato tutti gli altri uomini che in quei 28 giorni sono stati al campo base a Forme. Spero non si arrabbino se la pubblico, ma nel fare quella foto mi sono commossa fino alle lacrime, quell'abbraccio rappresenta tutto l'amore che era concentrato lì sopra, la solidarietà, la forza, la volontà, per portare a casa i "nostri quattro ragazzi". Non metto i loro nomi perchè la privacy va rispettata, ma se li riconoscete sapete che gran cuore hanno queste due persone. 

Roberta Maiolini 


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